La lebbra dell’olivo, un pericolo latente negli oliveti italiani

 

Dopo le piogge abbondanti dello scorso autunno-inverno in molte zone d’Italia, vi è il serio rischio di una recrudescenza della malattia. Dal Garda al Salento, Colletotrichum gloeosporioides e Colletotrichum acutatum possono far danni un po’ ovunque in Italia. Speranze nel futuro anche per la lotta biologica, oltre il rame

 

lebbra

 

Negli ultimi anni la lebbra dell’olivo sta tornando prepotentemente negli oliveti italiani. Tutta colpa dell’abbandono delle coltivazioni, dei cambiamenti climatici e anche di gestioni agronomiche approssimative.

E’ noto che le infezioni primarie di sviluppano in primavera, a seguito della presenza sulle piante di “mummie”, ovvero frutti “mummificati” dopo l’attacco del fungo ma rimasti attaccati alla pianta. Sempre più importanza, però, stanno assumendo le infezioni secondarie, in autunno, periodo notoriamente delicato poiché è difficile per gli olivicoltori effettuare trattamenti in prossimità della raccolta.

E’ così che, negli ultimi anni, abbiamo assistito a gravi manifestazioni della malattia in Calabria e in Puglia, fin nel sud barese, ma anche in Toscana e sul Garda.

Molta attività della ricerca ora si sta concentrando sui processi biochimici che portano Colletotrichum gloeosporioides ad attaccare in maniera talvolta molto virulenta l’olivo. Una interessante ricerca dell’Institute of Fruit Tree Research, a Guangdong in Cina, ha verificato che lo sviluppo del fungo, la produzione di conidi e la stessa virulenza dell’attacco possono dipendere da un’area genetica denominata CgareA. Questi geni sono regolatori dell’azoto, ovvero consentono al patogeno di svilupparsi, o meno, in presenza di scarse quantità di azoto. Poter regolare questi geni significa poter ridurre significativamente gli attacchi e i danni del patogeno.

Il ruolo dell’azoto nello sviluppo della malattia è ancora tutto da definire ma significative appaiono le prime sperimentazioni condotte su olivo dall’Instituto de Biotecnología–Facultad de Ingeniería–Universidad Nacional de San Juan in Argentina sull’utilizzo di batteri come antagonisti di Colletotrichum gloeosporioides.

Non è la prima volta che si pensa ai batteri antagonisti per combattere l’antracnosi ma finora le ricerche si erano concentrate su alcuni fruttiferi.

I ricercatori argentini hanno selezionato e testato 241 diversi batteri, trovati su vite e olivo, oltre che utilizzati in enologia. Ben 92 di questi hanno manifestato, in vitro, una certa competitività con l’agente della lebbra, generando metaboliti antifungini che sono stati in grado di contrastare lo sviluppo del micelio. In vivo il numero di batteri che ha mostrato qualche effetto si è ridotto sensibilmente e sono solo nove i batteri dimostratisi efficaci: tra enologici, se ottenuti dall’ecosistema oliveto. Nessuno di questi batteri era pericolo per l’uomo. I microrganismi possono dunque diventare strumenti di biocontrollo importanti nel futuro.

Nel frattempo è utile ricordare che, in caso di sospetti di lebbra nel proprio oliveto, può essere utile intervenire con fungicidi specifici, più che il solo rame, proprio in primavera.
I principi attivi maggiormente efficaci contro la lebbra sono:
Tebuconazolo
Fungicida triazolico sistemico la cui azione fungitossica si estrinseca a livello della biosisntesi degli steroli ed altera la funzionalità della cellula fungina. Agisce in modo preventivo, curativo ed eradicante. La rapida penetrazione del prodotto (3-6 ore in relazione alla temperatura esterna) e la sua traslocazione per via xilematica, sono due caratteristiche fondamentali di questo principio attivo: infatti sfugge al dilavamento ed è in grado di proteggere la vegetazione sviluppatasi dopo il trattamento. Oltre ai patogeni tradizionalmente controllati dai triazoli, questo nuovo principio attivo è efficace anche contro parassiti di difficile controllo (monilia, botrite, maculatura o alternariosi del pero, etc.). Nelle prove in pieno campo si è dimostrato selettivo verso gli artropodi utili in diversi stadi di sviluppo; inoltre non ha effetti sulle api e sulla loro discendenza.
Trifloxistrobina
Principio attivo appartenente alla famiglia delle strobilurine, sostanze chimiche di sintesi derivanti da un metabolita prodotto dal fungo Strobilurus tenacellus. Il meccanismo d’azione è mitocondriale, inibisce la catena respiratoria e di conseguenza blocca la produzione di ATP. La molecola, altamente lipofila, si fissa allo strato ceroso della foglia e agisce mesostemicamente.

L’analisi dei risultati relativi alla diffusione delle infezioni latenti e alla densità di inoculo di Colletotrichum spp. indicherebbe che le applicazioni in prefioritura sono efficaci nel ridurre le infezioni primarie e che ulteriori applicazioni in postallegagione e all’invaiatura non determinano ulteriore significative riduzioni della malattia.
Viceversa, applicazioni di rame dall’invaiatura in poi sono efficaci per il controllo delle infezioni secondarie.

di R. T.
pubblicato il 10 marzo 2017 in Strettamente Tecnico > L’arca olearia

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Fonte: www.teatronaturale.it